Ce la giochiamo a carte? No!
Facciamo a braccio di ferro? No!
Perché non ce la giochiamo a birra e salsiccia? ...DOVE?
Gli anni settanta sono stati l'ultimo decennio di passioni vere. Politiche soprattutto, ma non solo.
Fu un periodo pieno di contrasti, l'ultimo in cui un giornale (e tanti importanti ne nacquero allora)
poteva ancora competere a testa alta con la tv, l'ultimo prima della tecnologia, della televisione
per forza, ottima certo, ma a volte un po' troppo ingombrante. Il cinema non poté che rispecchiare
come sempre gli umori, le contraddizioni, le fantasie degli italiani. Fu un decennio cinematograficamente
straordinario, per quanto un po' sconquassato, in cui riuscirono a coesistere e a prodursi sia grandi
capolavori, sia Giovannona Coscialunga. C'erano Bertolucci, Scola, Fellini, e c'era il fantastico Monnezza;
nasceva Moretti ma anche Lino Banfi e Pierino, che è appena entrato all'accademia di Francia (cosa che
dubito riuscirà ai Vanzina, continuatori dei b-movies dagli anni ottanta in poi), mentre qualcuno ancora
oggi sogna Gloria Guida e Nadia Cassini o titoli epici come "Alle dame del castello piace fare solo
quello". Era comunque un cinema vitale, di una vitalità che si sarebbe spenta sul finire del decennio
e che non sarebbe ritornata prima dell'arrivo di Salvatores.
Su tutto ciò brillavamo due stelle molto particolari che ancora, uniche, non sono tramontate neanche
per il grande pubblico.
Quaranta anni di contributi pagati dal grande schermo (sin dal Gattopardo di Visconti), trentacinque
di onorato servizio in sella ad un cavallo più stanco di lui, Trinità alias Terence Hill ("la mano
destra del diavolo") raggiunge l'età pensionabile: 65 anni compiuti pochi giorni fa, e a dirlo fa un
po' effetto (in alcune biografie è scritto 29 marzo 1939, in altre 1940; ho preso per buone queste
ultime, così, solo per gioco).
Insieme al grande Bud Spencer, in una manciata di film, sono riusciti a far innamorare di loro bambini
e ragazzi di tre generazioni: quelli che videro al cinema il primo "Lo chiamavano Trinità" (1970),
quelli che, come il sottoscritto, se lo gustarono qualche anno dopo nei cinema parrocchiali (come
l'indimenticata "Arena del Fancilullo" di Rimini gestita dai Salesiani), quelli che, pur nell'era
televisiva del Grande Fratello e dei programmi-splatter, se li trovano ancora oggi in prima serata,
ed è sempre un grande successo.
Un destino che non è toccato agli altri film culto di 30 anni fa, sia quelli figli di un cinema minore,
che spesso riempiono le notti estive in qualche rassegna su Italia 1 o Rete 4, sia quei film d'autore
che hanno contribuito a far grande il cinema italiano, pressoché spariti dai palinsesti oggi regno dei
reality (con qualche rara eccezione pomeridian-mattutina).
Bud e Terence possono proprio essere orgogliosi di tutto ciò, infischiandosene, anzi ridendone,
come avrebbero fatto i loro personaggi ("Quando hanno detto che nostra madre è una vecchia baldracca
non ci ho visto più" - "Ma è la verità!" - "Si ma non è vecchia!") della solita critica da salotto,
quella snobbettina, che continua su libri, giornali, manuali ad appioppare regolarmente ai nostri
eroi le due solite stelline striminzite, massimo tre.
I loro film sono invece semplicemente belli, e basta. Sinceri come le passioni di allora, divertenti
per chi li realizzava, da EB Clucher (Enzo Barboni) al poliedrico produttore-regista Italo Zingarelli
(che dopo averne fatte di tutti i colori, si ritirò nella vigna dei suoi sogni a Castellina in
Chianti mettendo su una fior di azienda vinicola, "Rocca delle Macìe") che intuì insieme a Barboni
il grande potenziale di quella coppia che avrebbe stravolto lo schema degli "spaghetti western";
e poi i fratelli Guido e Maurizio De Angelis, i mitici "Oliver Onions" le cui geniali musichette
si canticchieranno sempre volentieri, fino ai tanti personaggi dei cast, che traghettavano da un
film all'altro, ricreando la stessa gustosa atmosfera familiare, dagli scagnozzi del "Maggiore",
a quelli di "Mr. Ormond", uno dei cattivi più gaudenti della storia del cinema.
C'era forse uno spazio creativo maggiore e meno concorrenza, tanto che anche la tv settantesca
riusciva a fare epoca e il successo popolare di sceneggiati come Pinocchio e Sandokan (guarda caso
la celebre musica per quest'ultimo la scrissero sempre i De Angelis) non è stato quasi mai più
eguagliato. Ma c'era molto altro e sarebbe imperdonabile fermarsi alla superficiale risatina di
facciata tra una scazzottata, una sfida alla pelota e una partita di poker, anche se al tavolo
potevi trovare niente meno che "Wild Cat Hendrix"!
Dal canto finale di "Io sto con gli ippopotami", che riesce a trasmettere un messaggio
ambientalista come pochi ne sono stati realizzati, cento volte più efficace di tante campagne,
all'irripetibile deliziosa assurdità di "Altrimenti ci arrabbiamo" ("La rivogliamo tale e
quale com'era: una Dunne Buggy fresca di fabbrica. Sarebbe un gesto gentile mandarcela a casa.
Aspettiamo fino a domani a mezzogiorno ... - Altrimenti? - Altrimenti... altrimenti... Altrimenti
ci Arrabbiamo"), alla trasudante felicità dei due film di Trinità, ogni fotogramma ha la
invidiabile capacità di fissarsi nella memoria scaldando ad ogni visione quel po' di spazio del
cuore a cui nessuno vuole rinunciare, perché parte integrante della nostra crescita e della
nostra essenza, quell'infanzia tra banchi di scuola e partite di pallone sullo sfondo della
quale Bud e Terence, senza presunzione né ossessioni, si stagliavano come un mistico, ma
democratico compromesso tra un eroe avventuroso e gagliardo e un pataca qualunque che potevi
incontrare nel bar sotto casa. In due parole, noi stessi, ma senza quel sacco pieno di
faticose paranoie che ci portiamo dietro, regolarmente e inesorabilmente.
Sfortunati sono stati quei bambini che nella loro infanzia/adolescenza non hanno potuto
apprezzare questi eroi tutti italiani, ma così abbondantemente esportati all'estero e poveri
quei genitori di oggi che avendoli mancati a loro volta, continuano a guardare con
irrimediabile sufficienza le avventure di Trinità e Bambino, incapaci per sempre di perdersi
in quell'abbandono rilassato che negheranno, forse, anche ai loro figli.
Ma ora basta perché, come disse qualcuno: "Si fa notte tenente!"
Simone Mariotti
Pubblicato il 13 aprile 2005 su La Voce di Romagna in prima pagina
La Voce di Romagna" è un quotidiano molto diffuso in tutta la Romagna e nella
Repubblica di San Marino.
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