Pisa, 10 dicembre 2003
INTERVISTA A TONINO VALERII
Ringraziamo innanzitutto il regista Tonino Valerii, per la grande disponibilità e gentilezza concessaci per la realizzazione di questa intervista.
Federica: buonasera, sono felicissima di conoscerla perché il mio film preferito in assoluto è
Il mio nome è Nessuno, io sono una fan di Terence Hill, non sono una giornalista, ma mi occupo del suo sito
ufficiale. Parliamo del film, dove è stato girato?
Tonino: abbiamo fatto tanti sopralluoghi, ho dovuto viaggiare molto, su e giù per l'America, per trovare i luoghi
adatti...
Federica: io sapevo che il film era stato girato a Santa Fè.
Tonino: no, siamo andati anche a Santa Fè, l'abbiamo vista, ma è una cittadina moderna, il vecchio se c'è, è misto
al nuovo.
Federica: so che è stato un film curatissimo.
Tonino: sì, è stato un film curatissimo ed è stato anche un film che ci è costato molto.
Federica: mi racconti qualcosa riguardo a Terence Hill.
Tonino: è un attore bravissimo, tutto quello che si può dire di bene, va bene, perché è un ragazzo veramente
meraviglioso. Terence era una star, è una star, ma allora era la star vera, improvvisamente è diventato una star che
poteva pareggiare i conti con Clint Eastwood. Se andiamo a vedere le cifre, ha incassato di più lui.
Il mio nome è Nessuno è il western italiano che ha incassato di più in assoluto.
Ricordo che quando arrivava sul set la mattina, era quattro metri sollevato da terra, noi eravamo tutti tesi e
invece lui era bello tranquillo. Poi ho scoperto che tutte le mattine, prima di venire sul set, faceva due ore di yoga!
Federica: Avrei alcune curiosità da chiederle. Il film ha una storia seria, bella consistente, però,
secondo me, ci sono un paio di scene che si distaccano un po' dal resto del film. Una è quella in cui praticamente
si asciuga la mano e poi tira fuori il pollice dal pugno e si accende la fiamma. Mi è sembrata una cosa strana,
particolare, insomma...
Tonino: perché?
Federica: perché non capivo il senso...
Tonino: adesso te lo faccio capire. Lui sta cercando di pescare un pesce, ha messo un insetto sull'acqua e
sta lì col bastone pronto. Arriva il traghetto, Henry Fonda sale a cavallo e poi si ferma a guardarlo, con un'aria
un pochino dispregiativa, con un sorrisetto tipo "ma guarda questo che fa". Dopo che ha preso il pesce,
Jack gli va davanti, allora Nessuno lo vede e fa così (mima il gesto, ndr), ma questo movimento ha un significato
preciso, vuol dire "mi dai un passaggio? Io non ho il cavallo! Ho la sella ma non ho il cavallo, dammi un
passaggio". Infatti, prima lo guarda muovendo il pollice per asciugarlo, poi guarda la sella e quando lo riguarda il movimento del pollice diventa quello dell'autostop. Anche se
per il pubblico, la cosa non era così evidente, volevamo proprio che lo capisse, mi dispiace se non ci siamo
riusciti. Poi fa così (mima il gesto) e accende!
Federica: Aveva un accendino in mano?
Tonino: no, quelli sono i fiammiferi americani. In cima hanno una piccola parte di zolfo, basta anche una
punta d'unghia per accenderli.
Federica: Ah, ho capito. Mi sembrava che la fiamma si accendesse dal nulla, anche se si vede che prende
qualcosa ma, non vedendo il fiammifero, da bambina avevo pensato ad un trucco di magia, come faceva Stanlio. L'altra
scena è quella in cui ha la sella su una spalla, estrae la pistola e con la stessa mano riesce contemporaneamente a
tenere la sella. Questa è una cosa irreale...
Tonino: irreale, perché? Fa ridere no? Cioè, dietro di
lui la sella disegna un paio di ali...
Federica: è vero! Quello lo avevo notato.
Tonino: ...è un angelo, tra virgolette, questo volevamo dire, e poi volevamo scherzare sull'atteggiamento da
sbruffone, allora che fa: molla la sella, prende la pistola, la rimette nella fondina e riprende la sella. Questo
normalmente non si può fare, allora noi l'avevamo girato al ralenti, cioè avevamo fatto fare a Terence tutti i
movimenti più lentamente, poi lo abbiamo portato in trucca e lo abbiamo velocizzato.
Federica: certo quello è evidente! Mi incuriosiva l'inserimento di queste scene paradossali in un film che
però è molto reale per tutto il resto.
Tonino: "molto reale", voglio dire, sulle parole bisogna intendersi. Intanto Terence Hill è Peter
Pan, quel personaggio che non vuol crescere, è stato esemplato con la figura di Peter Pan. Cioè è uno che è rimasto
attaccato ai valori dell'infanzia, alla favola, lui lo dice "io quando ero ragazzo giocavo a Jack Beauregard"
è una fantasia, è una rêverie. Lui ha sognato tutta la vita di incontrare un eroe del west, purtroppo per lui il
west è ormai finito, è stato consegnato un pochino alla storia e l'ultimo personaggio ne sta uscendo, perché ha
capito che i giochi sono ormai finiti.
Un giorno con Terence Hill andammo a Parigi in macchina, per presentare il film ai produttori francesi. Stavamo
passeggiando ai Champs Élisées e io gli ho spiegato questa storia di Peter Pan, perché fino ad allora non se n'era
parlato. Quello che diceva Leone era "io voglio che un personaggio di Clucher si scontri con un mio
personaggio". Però non si voleva mettere personalmente contro Clucher, che tra l'altro è stato un suo caro
amico, così aveva chiamato me a fare questo film.
Con Terence, non avevo mai avuto modo di parlarne; così, quando quel giorno a Parigi, lui mi chiese "senti,
ma perché non mi racconti un po' il mio personaggio?", ebbi l'idea per far capire a Terence cosa
volevo fare. "E' semplice" gli dissi "Nessuno è un ragazzo che non vuol crescere e, non volendo
crescere, non fa che coltivare tutte le fantasie dell'infanzia, solo che lui le vede realizzate. La differenza
è che lui, le fantasie che sognava da bambino, le realizza, e questo è tutto.
Federica: Molto interessante! Un'altra piccola curiosità
che mi hanno chiesto è sul pupazzo col quale gioca Nessuno ad
un certo punto.
Tonino: quella è la giostra del Saracino. E' una cosa che esiste in Italia, queste sono le contaminazioni
che il western italiano ha portato.
Federica: Le spiego il perché della domanda, è perché qualcuno ci ha visto Bud Spencer in quel pupazzo.
Tonino: No, assolutamente no. Nella disfida di Barletta (vedi il film "Ettore Fieramosca"
del regista Alessandro Blasetti, ndr), di Blasetti, ad un certo punto c'è un pupazzo da infilzare, se ci riesci
hai vinto, se non lo infilzi, se non lo pigli bene, quello gira, ti dà una botta in testa e ti fa cascare. E'
la famosa giostra del Saracino, che si fa non solo nelle puglie, ma anche da altre parti d'Italia.
E poi c'è anche la canzoncina "ma che bel castello...", quella è italiana, è una filastrocca che si canta
ai bambini dell'asilo. Per cui, come vedi, rientra sempre in quel discorso delle fantasie infantili che ritornano
anche nel gioco dei grandi.
Lì il pezzo più bello è quando Terence Hill si mette dietro e chiama Benito Stefanelli, che era lo stunt-director,
e gli fa (mima il gesto) vieni, vieni, prima gli dà un paio di botte, poi se lo mette a pallino e lo fa volare
sul biliardo che sta dall'altra parte. Ci sono giochetti che ci siamo divertiti a fare, come anche la storia
dell'uccellino. Quella è una famosa barzelletta, si raccontava quando andavo a scuola io.
Federica: l'avete ripresa completamente com'era in originale, non l'avete riadattata?
Tonino: no, l'abbiamo messa com'era in originale, come l'avevamo sentita da ragazzi. Queste sono cose
che usavamo io e Castaldi, che era lo sceneggiatore, le sapevamo tutte queste storielle. Abbiamo trasferito
ad un'altra generazione, quello che altrimenti si sarebbe esaurito con noi.
Federica: mi è rimasta impressa, per la spettacolarità, la scena in cui Jack Beauregard spara al Mucchio
Selvaggio e questi saltano in aria, perché trasportano la dinamite. Quella com'è stata girata, i cavalli dovevano
cadere veramente?
Tonino: Certo, non c'è nessun trucco. Ovviamente ci sono dei sistemi per far cadere i cavalli, ma senza
che si facciano del male, nei miei film nessun cavallo si è mai ferito.
Federica: complimenti per il risultato.
Tonino: mi venivano bene queste scene, anche adesso mi vengono bene.
Federica: mi parli delle varie location.
A questo punto, Tonino Valerii racconta ...ed io, lo lascio parlare....
LA CITTA' DEL CIELO
Tra i vari posti che abbiamo visitato per trovare i luoghi adatti per le riprese, un giorno siamo andati ad Acoma.
E' un paese chiamato "The sky city", cioè "La città del cielo" perché è a 11900 piedi che in
metri sono circa 5000. Ci si arriva attraversando la città più ricca di uranio dell'America, per cui quando si
passa di lì, si diventa radioattivi, le donne incinte non ci possono stare, gli uomini che ci lavorano, possono
restare per un certo periodo e poi devono andare via.
Per salire tra l'altro, c'è una strada stretta che da un lato ha il monte e dall'altra, il precipizio. Siccome
guidavamo delle macchine americane, anche io non è che guidavo una Cinquecento, guidavo un macchinone che non
ricordo cos'era, ma era una macchina enorme e, veramente, per andare su ogni volta ci mettevamo due ore, era
molto pericoloso.
Arrivati a questa Acoma, la prima cosa che vedo è una chiesa cattolica, entro dentro e c'era un crocifisso
ligneo di una bellezza che sono rimasto incantato. Allora chiamo il Cachique e gli chiedo "Ma voi siete
cattolici?" - "Sì, siamo cattolici" - "E come mai siete cattolici?" Domando io, e lui
mi racconta la storia, era un uomo di grande cultura, avrà avuto sessant'anni e mi ha spiegato che Acoma era
sul famoso Jesuit-trail, cioè sul percorso dei gesuiti che avevano attraversato l'America e dove andavano
costruivano una chiesa e convertivano tutti. Sono rimasto incantato, perché questo paese è rimasto veramente
com'era ai tempi degli indiani, dal 1600 non è mai cambiato. Non ci sono porte, si vedono dei blocchi senza
porte, entrano dal soffitto e poi da dentro chiudono, per cui diventa una roccaforte, c'è solo un'apertura
per un comignolo. Ad un certo punto, vedo il cimitero e penso "che meraviglia, questo è il cimitero che
vado cercando". Sempre vicino a me c'era il Cachique e gli dico "noi vorremmo girarci". "No,
non si può girare qui, è tabù, ci sono i nostri morti. Se vuole entrare a visitarlo, venga pure, ma qui non
si fa nulla." - "Pazienza" dico io "No, a voi piace questo cimitero? E noi ve lo
rifacciamo" - " Ma come fate, dove lo rifate?" - "Qui a fianco". Io mi sporgo e vedo
uno sprofondo di 150 - 200 metri "Ma come fate a farlo?" allora mi fa "Mister director, questi
sono cavoli nostri!" Mi ha detto proprio così! " Lei non si preoccupi, mi deve dire solo se lo vuole
tale quale o vuole cambiare, qualcosa" - "No, no io lo rivoglio tale e quale" - "Fra quanto
vi serve?" - "Fra due mesi" - "Fra due mesi è pronto". Io però non mi fidavo, ho
chiamato l'organizzatore Cappellone (lo chiamavamo così di soprannome, perché appena arrivati in America si
era comprato un cappellone da cow-boy), e gli ho detto "Guarda, io di questa gente non mi fido, e come
fanno a rifare un cimitero qua?".
RIO PUERCO
Continuiamo a fare i viaggi di ricerca. Ad un certo momento mi segnalano una direttrice di un ministero
(come quelli che abbiamo qui da noi: del turismo, dello spettacolo, etc.), che ci aveva aiutato sin dall'inizio.
Una signora molto gentile e disponibile che mi ha consigliato di andare a vedere dalle parti di Rio Puerco.
Vediamo la carta e ci rendiamo conto che per arrivarci ci vogliono 5 - 6 ore di macchina. Una mattina decido di
alzarmi alle 4 per andare a vedere. Partiamo con due macchine che ci aveva messo a disposizione questa signora,
dopo tre ore e mezzo di una high-way bellissima, ci ritroviamo in mezzo alla campagna, senza nessun tracciato da
seguire. Andiamo avanti così per un'ora e mezzo, mentre stavamo per venir via perché ancora non si vedeva niente,
finalmente vediamo qualcosa in lontananza. C'era un ponte piuttosto stretto e senza i laterali, non era molto alto,
al massimo, cadendo, ci potevamo rompere una gamba, così decidiamo di rischiare e di passare. Mentre sto passando
vedo un cartello "maximum one ton", massimo una tonnellata, così scendo e vado da Cappellone, che stava
dietro, e gli dico che non possiamo venirci a girare. Era già pericoloso passare con le nostre auto, perché una
macchina americana una tonnellata, cioè dieci quintali li pesa, anzi, molto di più, ma un gruppo elettrogeno che
fa dieci tonnellate ed ha pure la carreggiata più larga, non passa di sicuro. Questo tizio, mi guarda con la
faccia strafottente e mi dice "senti Tonino, mi fai una cortesia, tu fai il regista e io faccio
l'organizzatore" - "guarda che ti prendo in parola" - "prendimi in parola". Arriviamo
e troviamo un villaggio western completamente recintato con una rete e un cartello, adesso io lo dico in
italiano "propietà privata - attenzione - chiunque attraversa questo filo spinato - multa di 500
dollari", ma non c'era nessuno, abbiamo chiamato, ma non ci ha risposto nessuno. Così siamo passati,
non eravamo andati avanti più di un metro, che esce un matto a cavallo con un Winchester di quelli a pompa,
e ce lo punta contro, anzi lo punta proprio su di me... "alt! Non hai letto il cartello?"-"Sì,
l'ho letto, scusa, è vero, ma noi cercavamo qualcuno con cui parlare, noi vorremmo fare
un film..." - "Non si può" - "Se non si può non lo faremo, possiamo visitare il
villaggio?" - "Sì, se è solo per vedere, va bene".
Era bellissimo, ci mancava solo una cosa, hai presente l'inizio con Henry Fonda che scende dall'albergo
e sotto il vecchio gli legge il telegramma "Sundown partirà il giorno tale", quello non c'era,
bisognava ricostruirlo e non sapevo neanche come. Comunque decidiamo che va bene, abbiamo dato una mancia
a questo matto col fucile, poi gli abbiamo chiesto a chi dovevamo rivolgerci per ottenere il permesso e ci
ha dato il nome di un avvocato.
Torniamo indietro, altre 5 ore di viaggo. La mattina dopo abbiamo mandato la richiesta allo studio legale per
poter girare nel villaggio e per farci anche una piccola costruzione. Ci hanno risposto che bisognava
prima avere il permesso da tutti i propietari, perché ogni singola casa aveva un proprietario diverso.
Sono partiti allora 4 avvocati dallo studio e c'è costato 10.500 dollari, uno a New York, uno non
so ...nelle quattro direzioni! Sono stati professionalissimi, hanno riportato tutti i permessi, casa
per casa, questo voleva 300 dollari, quello 200, l'altro 500, a trattativa libera.
L'ALBERGO
Bisognava innanzitutto costruire l'albergo, così continuiamo a girare e arriviamo in una cittadina
deliziosa che si chiamava Socorro, famosa nel west anche questa. Vedo un albergo bellissimo, rimasto
com' era in origine. Questo paese era un museo e l'albergo aveva tutto il cordone intorno, non si
poteva visitare perché dentro era pericolante. C'era con me Gianni Polidori, lo scenografo, e gli
dico "Gianni, io per quell'albergo di cui abbiamo parlato, vorrei questo qui" dice "va bene,
facciamo una fotografia..." "No, aspetta, ti faccio vedere io come si fa" Vado da
un tabaccaio e gli dico "Avete delle cartoline del posto? C'è una fotografia
dell'albergo?" - "Sì, eccola qua!" e poi sono tornato da lui "Gianni,
ecco la fotografia, devi fare questo!".
Per costruirlo è stata ingaggiata una squadra di operai che sembravano usciti non so da dove,
con i capelli lunghi, i baffi, drogati, bevuti, nel vederli ho pensato che non ce l'avrebbero
mai fatta a finirlo. Invece poi, una volta all'opera, era una cosa straordinaria, non ho mai visto una
squadra di operai lavorare al cinema con tanta dedizione. Bastava chiedere una cosa e loro la facevano
alla perfezione, hanno fatto questo albergo, lo abbiamo visto: era perfetto!
CIAK SI GIRA, ANZI NO...
Finalmente arriva il giorno dell'inizio, Sergio Leone mi mandò un telegramma bellissimo "sono
sicuro, farai un bel film" ...e partiamo. La mattina, dopo 5 ore di macchina, arriviamo lì, Henry Fonda
era al trucco, avevamo fatto la bottega del barbiere con una rete: quello è merito del grande scenografo.
In realtà era solo un rudere, lui non ha fatto nulla di complicato, ha preso una vecchia rete da pesca che
ha trovato da qualche parte, l'ha messa dritta, era la cosa più bella che ho mai visto fatta da uno scenografo.
Altrimenti non c'era niente, poi ci abbiamo messo la sedia e tutte le altre cose.
Dicevo che eravamo appunto al primo giorno, controllo tutto, comincio a far mettere le luci, spiego all'operatore
dove andava la macchina da presa, cosa bisognava fare. Quando siamo pronti, l'operatore dice "siamo
pronti", "chiamate il signor Fonda", arriva il signor Fonda, dico "accendete" e
tutti si guardavano ..."chi glielo dice?", ... "non è arrivato il gruppo", "ma
non dite sciocchezze, non è arrivato il gruppo, il gruppo arriva dappertutto, noi sapevamo che cominciavamo
oggi, il gruppo doveva essere già qui", mentre parlavo fissavo Cappellone e lui, si guardava intorno.
Eravamo partiti alle 4 del mattino ed eravamo già verso le 10, dico "che vogliamo fare, la vogliamo
girare un'inquadratura almeno, per dire abbiamo cominciato?" rivolto a Cappellone e Cappellone
mi fa "non arriva", "come non arriva? Tu mi hai detto che io dovevo farmi i fatti miei,
io mi sto facendo i fatti miei, però tu devi saper fare i tuoi se no sei un imbecille. Lo sai qui
chi c'è". Eravamo 47 persone partite da Roma, una troupe, "ci sta un attore, ci sta
l'americano", il gruppista col gruppo era americano. "Non possiamo mica fare questa figura,
arrivano gli italiani e non girano il primo giorno perché non passa il gruppo, piglia la macchina e
vai a vedere dove sta il gruppo", gli ho ordinato. Torna dopo un paio d'ore, eravamo già a
mezzogiorno, pallido come un morto e mi dice "non passa il ponte", "ma non è possibile,
dico io, come non passa il ponte? Se io te l'ho detto quando siamo venuti a fare il sopralluogo che
non passava il ponte, tu mi hai detto che mi dovevo fare i fatti miei, io me li son fatti e non ha passato
il ponte, allora sei proprio un incompetente. Adesso io, appena torno in albergo, telefono a Sergio
Leone e gli dico di mandarmi un altro", "no, no la prego non me lo
faccia", "andiamo via!".
Come facciamo? Ormai la costruzione c'era, era costata un sacco di soldi, la location era quella,
non potevo ricominciare e dire andiamo da un'altra parte. Allora, sai com'è andata a finire? L'esercito
americano ci ha costruito un ponte. Abbiamo dovuto aspettare 10 giorni, sai questo quanto è costato
al signor Leone che era il produttore? Con i soldi di allora, con il dollaro di allora, 185.000 dollari.
Il dollaro, non me lo scorderò mai, costava 690 lire.
IL CIMITERO
Intanto, andava avanti la costruzione del cimitero. Io inviavo ogni tanto qualcuno a controllare e al
ritorno, mi raccontavano che stavano mettendo dei grandi tavelloni trasversali (termine usato nel cinema
per indicare delle tavole di legno molto spesse, ndr) e poi sopra delle tavole. Naturalmente li mettevano lì
dove c'era il burrone, per creare una piattaforma, gli operai lavoravano appesi, legati con le funi!
Arriva il giorno in cui dobbiamo andare a girare ad Acoma. Arriviamo, qui finiva il cimitero vero e accanto
cominciava l'altro, sopra al precipizio. Faccio un giro per vedere com'era sostenuto e effettivamente,
c'erano dei grandi tavelloni di legno pesante, messi a saetta, cioè messi tutti trasversalmente. Non so
spiegarlo bene, comunque il cimitero c'era. Allora dico al Cachique "noi qui ci dobbiamo andare con
la macchina da presa, con tutte le persone" - "che non si fida?" - "non lo so, è
stato collaudato?" gli chiedo, "noi non abbiamo bisogno di nessun collaudo, noi le diciamo che
regge"- "mi dispiace, se io non ho un collaudo di un ingegnere che mi dice che posso salire sul
posto con 40 persone ..." - "quante sono le persone che devono salire?" - "40",
comincia a parlare indiano e in men che non si dica, arrivano 100 persone, praticamente tutto il villaggio
indiano. Sono saliti sul cimitero e poi li ha fatti saltare tutti assieme. Veramente non si è mosso
niente, "cavolo per me questo è un buon collaudo", ho pensato e abbiamo cominciato a girare
per un giorno e mezzo, un paio di giorni.
Gli indiani che si vedono nel film, sono i veri abitanti di quel villaggio e i costumi che hanno
addosso sono i costumi che hanno preso dai loro bauli, erano i costumi dei loro nonni, dei padri,
cioè originali costumi d'epoca.
Federica: come ultima domanda, mi sono serbata quella a cui tengo di più. Ho sempre pensato
che Il mio nome è Nessuno, abbia tutti i presupposti per poter continuare la storia con un sequel...
Tonino: hai ragione, infatti ho il copione nel cassetto, ma si sa: tra il dire e il fare!
Conclusa la nostra intervista, ci spostiamo nel cinema dove vengono subito proiettati
i film "Una ragione per vivere e una per morire" , con Bud Spencer
e "Il mio nome è Nessuno".
Dopodiché, inizia l'"Incontro". Riporto alcune parti interessanti di
quanto è stato detto:
NEL CINEMA
INCONTRO voluto e finanziato dal Corso di cinema, musica e teatro dell'Università di Pisa.
Svoltosi presso il Cineclub Arsenale di Pisa.
Intervista il professore Piermarco De Santi, docente di Storia del Cinema Italiano dell'Università di Pisa.
PRESENTAZIONE
"Tonino Valerii si è diplomato in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, in seguito ha
lavorato come aiutoregista con diversi registi, con Camillo Mastrocinque (regista di molti film di Totò),
con Alessandro Blasetti e anche con Sergio Leone, che aiutò nella realizzazione di Per un pugno di dollari.
In seguito ha debuttato nel "66 con Per il gusto di uccidere, quindi il suo debutto è stato col genere western.
Nel "67 dirige uno dei suoi film più famosi che è I giorni dell'ira, nel "69
dirige Il prezzo del potere e in seguito anche molti polizieschi come Mio caro assassino e Vai Gorilla,
della metà degli anni 70. Bisogna poi ricordare i due film che abbiamo visto ora che sono
appunto Una ragione per vivere e una per morire e Il mio nome è Nessuno. E' stato anche sceneggiatore,
ha aiutato a scrivere diversi film, oltre ai suoi, infatti è stato sceneggiatore di molti suoi film e
autore di dialoghi. In seguito ha svolto anche un'intensa attività all'interno della televisione, con la
Rai e ha scritto un libro, Fare l'aiutoregista nel cinema e nella tv, che è una guida appunto per i
giovani aspiranti registi e su cui si sono basati molti nuovi registi".
INTRODUZIONE DEL PROF. DE SANTI
Sono molto lieto che gli studenti del corso di laurea di cinema, musica e teatro siano impegnati in
queste iniziative che permettono loro di conoscere quella parte del cinema italiano e anche internazionale
che in altre maniere non avrebbero mai potuto avvicinare ma, soprattutto, di poter confrontarsi e
conoscere i loro autori che ci stanno dando grande disponibilità e ci aiutano quindi a favorire il
riconoscimento e la memoria del cinema italiano di cui magari, tanto si parla nei libri di storia
del cinema, ma di cui oggi non si conosce niente. Questi film che appunto stiamo proiettando, sono
databili intorno agli anni 70 e quindi se voi pensate che i nostri studenti, specialmente quelli dei
primi corsi, sono nati nel 1980-81, chiaramente queste pellicole non le hanno mai viste, per cui sono
molto grato a Tonino Valerii di essere qui presente tra noi, i ragazzi non l'hanno detto, ma Tonino Valerii, oltre ad essere
un grande autore di genere, in particolare il western italiano e non all'italiana e il cinema appunto poliziesco, è un
uomo di grande cultura, cultura sia dal punto di vista figurativo, ma soprattutto cultura cinematografica. Possiede
molto approfonditamente capacità non consuete di messa in quadro e di messa in scena, che gli hanno permesso di cimentarsi
con il film di genere, in questo caso, il western italiano, portando diciamo delle soluzioni dal punto di vista registico,
narratologico e drammaturgico, addirittura innovative. Quando, a suo tempo, è uscito questo film, Il mio nome è Nessuno,
ha avuto, come voi sapete, un successo di pubblico notevole. Alcuni critici avevano notato addirittura, come dire,
questo lavoro di scalpello all'interno del genere, quasi per giungere alla distruzione del mito classico del film
western. Altri invece non ci hanno capito assolutamente niente e dalla loro posizione spocchiosa e arrogante, hanno
preferito passare sotto silenzio o addirittura ignorare questo tipo di cinema che oggi invece è giustamente rivalutato
e rivisitato con grande attenzione. Basta guardare al di là della personalità importante del regista e dell'autore
Tonino Valerii, basta scorrere i titoli di testa di questo film, vedrete che sono impegnati nella lavorazione le
maestranze del cosiddetto grande cinema italiano. Al montaggio c'è Nino Baragli, alle musiche Ennio Morricone,
soggettisti e sceneggiatori di primissimo ordine, il direttore della fotografia, insomma è un cinema questo che,
guidato da Tonino Valerii, impegna le grandi maestranze che in quel momento stavano lavorando con Fellini,
con Sergio Leone, con Visconti, etc.. Quindi ecco che loro, portano al genere, un contributo notevolissimo e
di alto artigianato, siamo a bottega di grande artigianato del fare cinema. La cultura, ovviamente, del film
emerge anche da tante soluzioni registiche, dicevo, di messa in scena, all'interno di questo film c'è un omaggio
al cinema, c'è l'omaggio a Chaplin, ci sono tutta una serie di notazioni che demitizzano il film western. C'è la
citazione, appunto, della gag celeberrima di Chaplin che mangia la pasta al bambino, qui Terence Hill mangia
la mela, ma la situazione è analoga. C'è addirittura un intervento intelligentissimo che va nella continuità
della raffinatezza del commento sonoro del film western sperimentato naturalmente con Sergio Leone, da parte
di Ennio Morricone. La colonna sonora di questo film, è conosciuta in tutto il mondo, ma, a parte questo, ci
sono delle autocitazioni, sta di fatto che Morricone qualche volta autocita, insomma, richiama, specialmente
nei momenti del duello, le sonorità del triello del film Il buono, il brutto e il cattivo, etc. Poi, per esempio,
quello splendido brano della cavalcata con l'inserto in chiave elettronica, un po' ironica, un po' grottesca
della Cavalcata delle Valchirie, il brano celeberrimo, appunto, wagneriano, gioca un ruolo in funzione asincrona.
In genere la Cavalcata delle Valchirie richiama il mito wagneriano, richiama tutta una serie di altre epopee e
in questo caso sta addosso a una banda di sciagurati e quindi è decontestualizzato, un perfetto esempio di
asincrono. Tutto questo per dirvi, per sottolineare, come questi atteggiamenti di prosopopea e spocchia critica,
ormai lascino il tempo che trovano. Vi voglio dire che se, per esempio, avreste dovuto presentare stasera Tonino
Valerii, basandovi sui classici della critica, non avreste trovato niente, perché
c'è stato questo atteggiamento in difesa del cosiddetto cinema d'autore, come se questo tipo di cinema
non nascondesse dietro di sé un Autore. Si faceva sempre la distinzione tra l'autore con la A maiuscola
e l'autore diciamo, che fa il film cosiddetto di cassetta o di consumo. Ecco, tutto questo ragazzi
lo dovete prendere con le molle, è una sonora bischerata, legata all'accademia, alla retorica
universitaria, legata a tutti 'sti parrucconi di cui non si sopporta più la presenza e l'esistenza.
Occorre confrontarci con i dati, occorre vedere i film, non dare niente per scontato, andare a
vedere le pellicole, documentarsi, guardare con occhio critico e poi esprimere un giudizio. Non
fare come quei soloni che firmandosi Vice, senza aver visto i film, si permettono di scrivere dieci
righe dieci e liquidare così il problema. Voi pensate che Henry Fonda fosse un attore così sprovveduto
o così, diciamo, partito di testa da, una volta letto il copione o comunque confrontatosi
con Tonino Valerii, aver accettato un film di questo genere magari non so, perché aveva bisogno
di soldi? Aveva capito bene, Henry Fonda, che è stato uno dei grandi protagonisti del western
canonico, che questo film era un film che rompeva gli schemi, era un film che portava una sua
novità, che affrontava il genere da un'altra angolazione, che spostava letteralmente di peso e
sorprendeva rispetto alla consuetudine. Se Henry Fonda non era certamente il primo sprovveduto,
non vedo perché dobbiamo esserlo noi.
Professore: Una soluzione straordinaria è legata al momento in cui c'è la sparatoria, che in
genere nel cinema western dura per 5 - 6 minuti. C'è appunto questo fuoco sulle cadute dei cavalli,
fucilate, sparatorie, etc. qui è risolta con la tecnica invece del fisso-immagine, dell'album di
fotografie, come per far restare il personaggio, citando il film "nella storia". Rimane nella
storia dell'illustrazione, dell'epopea western. Ecco, questa mi pare davvero una soluzione geniale,
proprio di messa in scena. Era già in partenza nel film o è maturata, era già scritto tutto?
Tonino: sì, era tutto sul copione. L'unica cosa non scritta, era la scena nel "public orinal",
quella l'ha voluta Sergio Leone.
Professore: La musica di Morricone, gioca un ruolo fondamentale?
Tonino: certo, come anche nei film di Leone. La musica di Morricone è un bell'abito messo intorno
ad una persona mingherlina. Quando, per esempio, abbiamo visto la proiezione di Per qualche dollaro in
più, ci siamo resi conto che, con la musica, è cambiato da così a così.
Professore: potrebbe essere un caso, però nel cimitero, quando si citano i morti, c'è anche
un certo Sam Peckinpah, che è un regista, ma è un omonimia? Non è un'ironia del tipo "ora faccio
morire Sam Peckinpah", vero?
Tonino: No, no assolutamente. La cosa nacque così, scrivendo la scena. A Castaldi e a me non ci
venne in mente un nome americano che ci piacesse e lui disse "dovrebbe essere una cosa come
Sam Peckinpah, che suoni bene", e l'abbiamo scritto così, pensando poi di trovare qualcos'altro.
Quando poi abbiamo letto la scena a Sergio Leone, lui ha detto "no, no lasciatelo perché vedrete
che qualche giornalista ci troverà da scriverci sopra". E' stato fatto in maniera molto ruffiana.
Professore: E' un grande regista del cinema americano, Sam Peckinpah
Tonino: è il regista del Mucchio Selvaggio
Professore: tant'è vero che si parla di Mucchio Selvaggio
Tonino: ma quello non fu fatto né per demonizzare, né in maniera dispregiativa, ma unicamente
perché Leone pensò "vedrai che ci troveranno delle cose da dire e ne parleranno".
Professore: quanto tempo ha impiegato per girare questo film?
Tonino: Fu girato per nove settimane in America, 5 in Spagna e 3 in Italia. In America abbiamo
fatto ovviamente tutti gli esterni, il pezzo del finto duello tra Nessuno e Henry Fonda al Royal Street,
che è proprio la strada dove è nato il jazz. In Spagna abbiamo girato Nessuno che mangia la mela al
bambino, c'è tutta la fiera esterna e l'interno del saloon dove Sergio ha girato il duello dei bicchieri.
Io avevo il piano di lavorazione, lo dico come notizia, nel mio piano c'erano 2 giorni, in quello del produttore 9.
Professore: da dove è venuta l'idea del personaggio di Nessuno?
Tonino: la fonte principale è sempre la letteratura, è il bambino che non vuol crescere,
Peter Pan, insomma. E' una letteratura alta, non è che siamo a livello basso, è una letteratura
importante, questo ragazzo che non vuol crescere e che vuole attuare i sogni dell'infanzia, lui
giocava a Jack Beauregard, come dice in una battuta, vuol vedere Jack Beauregard che diventa carne
della sua fantasia, questa è la verità, il resto sono tutte situazioni più o meno inventate.
Professore: ha usato qualche particolare trucco nella realizzazione delle scene?
Tonino: I trucchi sono elementari, ogni volta che Terence fa gesti molto veloci,
sono velocizzati, se no era impossibile. Lui faceva i movimenti addirittura inferiori al normale,
lui li poteva fare più veloci, ma io glieli ho fatti fare più lenti per poterli poi velocizzare,
senza che prendessero un'aspetto marionettistico. Quando schiaffeggia il povero Marc Mazza,
questa è una cosa da citare poverino, lui si era appena operato ad un orecchio che era diventato
completamente sordo. Ovviamente gli hanno dovuto rimettere la catena degli ossicini e lui sbandava;
per un certo periodo, prima che la cosa si assesti, uno sbanda. Ogni volta che Terence gli dava
gli schiaffi, cascava per terra, ha fatto una fatica immensa e io gliene sono grato ancora
adesso perché, veramente, per fare quel pezzo di cinema c'è voluta la mano di Dio.
Mentre Jean Martin (interpreta Sullivan, ndr), famoso protagonista della Battaglia di Algeri,
grandissimo personaggio, che viene a fare lo snob, si mette in posa, pure quello è stato un
momento bello, è venuto a farlo e quando io l'ho conosciuto gli ho detto "io mi vergogno
a doverle dire certe cose" ...e lui "no, no". Si è messo veramente a servizio
completo del film.
Alla fine della memorabile serata, Tonino Valerii si congeda, rivelando un suo progetto in
corso di realizzazione.
Il mio rapporto con il cinema è un rapporto conflittuale, qualche volta. Con Sergio, che è stato veramente
e continua ad esserlo, un amico fraterno, c'è stato un piccolo grande screzio, ma secondo me non è stata
mica tanto colpa sua. Io adesso sto scrivendo un libro che si chiamerà Caro Sergio dove racconto tutta la
storia avvenuta tra me e Sergio Leone. Ho già 64 pagine in bozza ed ora sono al pezzo che mi addolora molto
dover scrivere, ma io devo scriverlo perché mi hanno detto tutti "no, tu lo devi scrivere, non tanto
per il tuo rapporto con Sergio Leone, ma perché devi fare chiarezza". E' un anno che cerco di
scriverlo e che questo braccio non mi ubbidisce, adesso dopo aver parlato con un amico di cui mi fido molto,
un uomo anziano di 73 anni , grande sceneggiatore, che mi ha detto "Tonino lo devi
scrivere", adesso, mi sono messo in mente che lo scriverò. Spero di finirlo per la
fine dell'anno, Greemese già lo aspetta, ma comunque vi prometto che il libro uscirà.
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