Sono le ore 17,30 e l'auditorium S.Cecilia di Perugia è colmo di persone in trepida attesa, finalmente sulla musica di "Altrimenti ci arrabbiamo" arriva Terence Hill e l'applauso è scrosciante.
Nella prima parte dell'incontro la professoressa Claudia Minciotti Tsdukas ha ripercorso la storia del garibaldino di Amelia, Alarico Silvestri, caduto nel 1897 per l'indipendenza della Grecia e parente di Terence Hill. Molto commovente è stato il momento in cui ha letto le sue lettere. Dopodiché ha preso la parola il critico Fabio Melelli, per intervistare Terence Hill. Riporto fedelmente l'intervista.
Fabio Melelli: Vorrei ripercorrere con Terence Hill, a grandi linee, quelle che sono le principali tappe della sua carriera cinematografica, una carriera che copre sei decadi della storia del nostro cinema, essendo iniziata nel 1951 con un film diretto da Dino Risi Vacanze col Gangester. Lei era giovanissimo e volevo subito chiederle come nacque questo esordio.
Terence Hill: Prima di rispondere, vorrei aprire una parentesi: io sono qui anche perché Alarico Silvestri era un mio parente, era fratello di mia nonna Marietta. Scusa, qual'era la domanda?
Fabio Melelli: La domanda era: partendo proprio dall'inizio della sua carriera, come si trovò a recitare con Dino Risi?
Terence Hill: Mi trovai male, perché non mi piaceva recitare, non mi piaceva fare l'attore, avevo sempre la febbre e quindi con grande sforzo portai a termine il mio lavoro.
Fabio Melelli: Dopo però ne vennero molti altri, lei continuò a fare film per tutti gli anni 50, diventando un po' il fidanzatino per eccellenza del cinema italiano. Si possono citare film come Villa Borghese di Franciolini, in cui lei è il fidanzatino di Annamaria Ferrero e Lazzarella. Andando avanti fino agli anni 60, arriviamo a Il Gattopardo di Luchino Visconti, dove lei interpreta proprio un garibaldino, il Conte Cavriaghi. Credo che per lei sia stato un incontro importante...
Terence Hill: Sì, è stato anche un incontro che mi ha fatto decidere di intraprendere definitivamente la carriera d'attore, perché sino ad allora non ero ancora convinto che quella fosse la mia strada. Adesso capisco quanto fu importante quell'esperienza, perché partecipai alla realizzazione di un film che credo sia avvenuta raramente nella storia del cinema. Per esempio, adesso quando si scelgono i costumi, il regista non li controlla neanche, oppure vengono fatti in fretta il giorno prima.
Io in quel film, anche se avevo una parte piccolissima, feci ben cinque prove di costume, non solo per vedere come mi stava ma anche perché bisognava trovare la giusta tonalità di rosso della camicia. Perché i garibaldini se le facevano a casa e quindi non erano tutte dello stesso rosso. Visconti fu presente a tutte e cinque le prove, sia per me che per tutti gli altri attori.
Quindi adesso mi rendo conto quale cura ha avuto quel film, oltre al grande successo che riscuote tuttora. Non so se lei lo sa ma ne è stata presentata una nuova copia a Los Angeles cinque anni fa e fu un successo strepitoso; mio figlio mi disse: "Caspita, che film che si facevano a quei tempi, a che bel film hai partecipato!".........e quindi, sì, è stata una bella esperienza!
Fabio Melelli: Dopodiché si apre nella sua carriera un periodo interessante, almeno per i filmografi. Mi riferisco a quello tedesco, infatti, ancor prima di interpretare i western in Italia, i famosi western all'italiana, come Dio perdona... io no!, Preparati la bara e poi la variante comica di Barboni, lei prese parte ad alcuni western di coproduzione tedesco-croata.
Credo che poi, almeno in parte, fossero girati nei dintorni di Zagabria, o comunque in Croazia. Una serie di film diretti da registi tedeschi, tratti da Karl May, ritenuto un po' il Salgari tedesco. Lei ne fece diversi: com'era girare e interpretare questi film?
Terence Hill: Per me è stato un periodo felice, in un certo senso, io abbandonai l'Italia per tre anni perché, come lei dice, avevo interpretato questi film dove facevo il teen-ager, come Lazzarella e Cerasella, e mi ero fossilizzato nel ruolo del giovane diciottenne. Quindi partii, andai in Germania e feci, credo, dodici o tredici film e la cosa bella fu che partecipai ai primi western europei i quali, nessuno lo sa, ma li realizzarono i tedeschi e non gli italiani, perché appunto si ispirarono a questo autore, Karl May che è come il nostro Salgari.
Però, mentre ero in Germania, era ormai il 67, constatai che tutti mi consigliavano di tornare in Italia perché stavano facendo questi grandi film western.... e a me piacevano! Nel 64 uscì Per un pugno di dollari, ma pensai ormai di aver perso il treno per fare questi western. Quando tornai in Italia momentaneamente nel 67 (questo va detto perché mi piace dire la verità su come entrai nel western italiano) ormai il western italiano stava morendo. C'era, però, una troupe in Spagna con Bud Spencer ed altri due attori, Frank Wolff ed un altro.
Questo film, ideato da Colizzi, che era uno studioso e grande scrittore di romanzi, si era ispirato a Esopo e il titolo del film era Il gatto, il cane e la volpe che poi diventò Dio perdona... io no!. Accadde che l'attore che doveva fare il gatto, Peter Martell, litigava sempre con la fidanzata ed una sera, durante una lite violenta, le tirò un calcio ma lei si scansò, colpì il muro e si ruppe un piede.
Il regista Colizzi arrivò di corsa a Roma per cercare un altro attore, mentre la troupe era ancora là. La cosa simpatica è che io ero con il produttore Manolo Bolognini, il fratello del famoso regista (n.r. Mauro Bolognini di Pistoia), e stavo facendo Little Rita nel west e disse a Colizzi: "Guarda, io c'ho questo qui, se tu gli metti un cappello nero, visto così, ha gli occhi azzurri, somiglia a Franco Nero".
E fu così che fui assunto, poi quel film divenne Dio perdona... io no! ed ebbe un successo strepitoso, anche se il western era finito, dato che ormai se ne facevano 300 l'anno. Il film ebbe comunque successo anche perché c'era già un pizzico di ironia e si stava formando casualmente questo feeling simpatico tra Bud Spencer e me.
Poi cominciammo con le scazzottate e quando facemmo I quattro dell'Ave Maria con Eli Wallach, Colizzi andò a vederlo in giro per l'Italia e notò che quando c'erano le scene con noi due insieme, la gente si divertiva di più: "Quando tu stai insieme a Bud" mi disse "la gente prova più simpatia, ridono, insomma non capisco ma vi metto insieme!"
Fabio Melelli: Se Giuseppe Colizzi ha indubbiamente il merito di aver creato la coppia o comunque i presupposti perché la coppia potesse lavorare ancora insieme, credo che il merito di aver compreso fino in fondo le potenzialità comiche di commedia della coppia Bud Spencer - Terence Hill, vada ad Enzo Barboni, che poi è anche il regista che più spesso l'ha diretta nel corso della sua carriera.
Terence Hill: Sì, ripeto, il seme fu piantato da Colizzi perché io facevo il gatto e Bud Spencer il cane, quindi già si capiva che rapporto c'era! Io credo che visivamente Colizzi fosse bravissimo, lo ricordo bene perché fece ancora dei film con noi, poi purtroppo morì giovanissimo. Lui creò proprio i nostri personaggi, perché i personaggi devono essere creati dal regista con un occhio molto, molto, come dire, dettagliato, cioè con tanta cura.......
Come ci vestì, come vestì me, Bud Spencer, come ci fotografava; il direttore delle luci era Alfio Contini che era il direttore delle luci di registi famosi come Antonioni. Dopo queste premesse, Barboni fece un gesto di una spontaneità incredibile.
Andava in giro per Roma con un copione che si chiamava Lo chiamavano Trinità, si rivolgeva a tutte le produzioni dicendo che voleva fare quel film. I produttori lo aprivano e dicevano: "Cos'è tutto questo dialogo?.....Non ci sono morti?.......Passo!"
Intanto io e Bud stavamo cercando lavoro, avevamo già visto due o tre copioni che non ci erano piaciuti, quando arrivò Barboni e lo fece vedere al produttore, noi eravamo lì e decidemmo subito di correre il rischio. Sì perché era considerato da tutti un rischio fare un film così: strano, con delle battute strane.
Lui aveva già pensato di farlo fare ad altri due attori ma, visto che eravamo lì subito disponibili, ci disse che gli andava bene e che lo avrebbe fatto fare a noi.
Fabio Melelli: Uno dei due era forse Luigi Montefiori (George Eastman) e l'altro credo Peter Martell che per la seconda volta perse il treno.
Terence Hill: Sì, è così, lei è molto informato!
Fabio Melelli: Tornando a Colizzi, va detto che la diresse anche al di fuori del cinema western, infatti è il regista di Più forte ragazzi! che fu uno dei vostri film di maggiore incasso. Bisogna anche dire però che lei, pur essendo naturalmente molto conosciuto per i ruoli comici, di commedia, legati al cinema d'azione, in realtà ha dimostrato la sua duttilità e versatilità interpretando anche ruoli drammatici.
L'ultimo, per esempio, è quello di Don Matteo ma, anche in passato, io ricordo per esempio Barbagia di Lizzani, poi il legionario Marco Segrain ne La Bandera - Marcia o muori di Richards ed anche l'avvocato Marco Manin in Il vero e il falso dove lei difendeva, dall'accusa di aver ucciso il marito, Paola Pitagora. Quindi, nell'arco della sua carriera, si è sempre ritagliato dei ruoli che uscivano un po' dalla commedia.
Terence Hill: Sì, io prima di Trinità, ho fatto anche ruoli diversi, come lei ha detto, tant'è vero che quando uscì Trinità, io fui il primo a sorprendermi di questo successo così strano anche perché non sapevo di far ridere, pensai: "Allora io faccio ridere, come mai?".
Però, veramente, mi piace molto il western, ero molto affezionato a questo ruolo e poi c'erano le mamme che mi fermavano per la strada per raccomandarsi di continuare così, perché potevano portare i propri figli al cinema senza avere sorprese. Da allora mi sentii responsabilizzato, decisi di continuare questo filone e lo sto facendo tutt'ora.
Fabio Melelli: In tutti questi film di cui parliamo, spesso le scene d'azione erano ottimamente orchestrate grazie all'apporto di Giorgio Ubaldi, recentemente scomparso, che era il coordinatore delle scene acrobatiche e grazie anche ad una ricca galleria di cascatori che con voi quasi inscenavano dei balletti, vero?
Terence Hill: Sì, allora c'erano trenta stunt-man e li avevamo tutti noi sul set, oggi credo che se lei cerca di trovarli, non li trova più, sarà molto difficile.....
Fabio Melelli: ....non gli stessi!
Terence Hill: Non in quel senso, è che non ci sono, non si sono più ricreati e poi sono cambiati i film. Noi avevamo la fortuna di fare queste scazzottate con tanti stunt-man molto abili, poi Bud era uno sportivo, come tutti sanno, ed io venivo dalla ginnastica artistica, quindi ci divertivamo proprio a girare queste scene senza usare mai controfigure.
Inoltre eravamo ripagati dallo spettatore al quale piaceva vedere che eravamo veramente noi, anziché vedere una scazzottata anonima... e poi noi cercavamo di metterci anche il nostro humor.
Lei ha ragione quando nomina Ubaldi, perché erano veramente dei balletti, intanto ci voleva molto tempo a farli, per una scazzottata ci volevano dieci giorni di riprese, facevamo un minuto al giorno e poi quando giravamo queste scene lui ci dava il tempo contando come per un balletto, ogni conto corrispondeva ad un pugno o ad una schivata.
Quindi le costruiva molto bene, nessuno se ne accorgeva ma questo balletto armonico che avveniva sullo schermo, suscitava simpatia, ilarità e divertimento.
Fabio Melelli: Parlavo prima di Don Matteo, lei anche in precedenza aveva vestito abiti talari, una volta per finta in Porgi l'altra guancia e poi nel film che segna il suo debutto alla regia, che è Don Camillo del 1983. Perché lei ha sentito a quel punto la necessità di cimentarsi anche nella regia?
Terence Hill: io avevo già fatto il western ed altro, mi piaceva molto Guareschi e mi piaceva anche realizzare una cosa che si svolgesse in Italia e il personaggio non lo sentivo molto lontano dai personaggi che interpretavo. Perché c'era la simpatia, la dedizione in quello che faceva e il contrasto con Peppone, ma soprattutto c'era l'amore da parte mia per Guareschi.
Infatti per poterlo realizzare mi dovetti impuntare perché nessuno voleva farmelo fare, tutti mi chiedevano che cosa ci faceva un cow-boy in Emilia Romagna nella parte di Don Camillo, ma io non mi arresi e mi ritrovai a produrlo da solo e poi, anche se avevo trovato il regista, mi piaceva troppo e l'ho fatto da me!
Fabio Melelli: Qualche anno dopo è di nuovo regista in alcuni episodi della serie televisiva Lucky Luke e poi torna un po' all'antico con Botte di Natale, la sua terza regia prodotta appunto dalla Rialto Film.
Terence Hill: Eh sì, sono tornato con i tedeschi, che produssero questo film. Mi piaceva fare un film che fosse un po' un finale western con Bud e così si fece questo Notte di Natale perché era pensato come Notte di Natale ma con la "N" che prendeva un pugno e diventava una "B". Mi piacque molto girarlo con Bud, riprende un po' la nostra storia, da dove ci eravamo lasciati.
La nostra mamma dice a Travis, cioè io, che vorrebbe passare il Natale con noi e mi manda a cercare mio fratello Moses.
Fabio Melelli: Dopo lei interpreta un altro film, di Antonio Margheriti, poco visto e poco distribuito: Virtual Weapon, in cui è accoppiato con Marvin Hagler.
Terence Hill: Questo è un mistero anche per me, perché è uscito dappertutto meno che in Italia e neanche in tv, quindi non so che interessi ci siano a tenere questo film nascosto da parte di chi lo ha comprato e so che è stato pagato. Credo che ci siano delle manovre finanziarie dalle quali tutti noi siamo al di fuori. Siccome viene trasmesso in tv Lazzarella, non vedo perché non debba essere trasmesso anche questo film che è molto divertente, fatto bene, girato in Florida e con Marvin Hagler che tutti conoscono.
E' un pugile molto famoso che ha avuto degli incontri con Sugar Ray Robinson, che si dice sia uno dei cinque pugili più grandi mai esistiti. ....Non lo so!
Fabio Melelli: Arriviamo a Don Matteo che è una fiction di grande successo, le ha portato anche molta fortuna la città in cui è stata girata. Com'è nata l'idea di tornare a fare un prete?
Terence Hill: Diciamo che è stata un'idea contemporanea. Da una parte c'era Oldoini che stava scrivendo, o comunque aveva già avuto questa idea e dall'altra c'ero io che volevo fare un prete investigatore. Avevo già due sceneggiature scritte, anche abbastanza buone ma era un prete diciamo, più d'azione, faceva parte di un plotone di paracadutisti, quindi era un cappellano d'azione; però anche lui era un investigatore dato che l'ispirazione partiva sempre da padre Brown di Chersterton.
Stavo preparando questa cosa qui, avevo anche dei contatti con Mediaset per poterla fare, viaggiavo tra l'America e Roma, poi Mediaset mi disse che la Rai stava facendo un prete simile a padre Brown e che, non potendolo più fare, dovevo tornare con un'altra idea.
Tornai con un altro soggetto di sessanta pagine che ci piacque molto, stavo per ripartire per gli Stati Uniti quando mi chiama Bernabei per dirmi che mi voleva far vedere una cosa che stavano progettando con la Rai e così mi dettero quattro copioni.
Io li lessi e mi piacquero molto di più di quello che avevo in mente io, era una cosa alla quale non avevo mai pensato e cioè l'idea di un prete investigatore nella provincia italiana. Quello che mi piaceva in particolare, era che c'erano sempre dei personaggi nuovi, con i quali si doveva confrontare.
Quindi, come si dice, "act is reacting" cioè, "fare l'attore è reagire", reagire all'altro; era una grossa possibilità di reagire a tanti personaggi, quindi accettai con entusiasmo questa idea di Oldoini e dissi di sì... e così mi sono ritrovato a fare questo Don Matteo a Gubbio.
Fabio Melelli: So che in sala sono presenti dei giornalisti, credo che vogliano rivolgere delle domande a Terence Hill, oppure se ci sono persone del pubblico, dato che questo è stato concepito come un incontro. Se ci sono domande per Terence Hill, prego farsi avanti!
Un cane: .....bau!
Fabio Melelli: Chi traduce?
(....Terence e tutti i presenti ridono....)
Fabio Melelli: Do il microfono al giornalista Bruno Mohorovic.
Giornalista: Grazie, buonasera. Alcune domande che volevo fare sono già state fatte, me le ha soffiate Fabio! Tornando al personaggio di Nessuno, Il mio nome è Nessuno, che lei ha interpretato con Henry Fonda per la regia di Sergio Leone, forse lei ci darà un'altra chiave di lettura su chi era veramente il regista del film, se Valerii o Leone, anche se lo zampino di Leone è molto presente.
"Nessuno", ciò che rappresenta nella storia, nell'epopea del western, diventa in qualche modo lo spettatore, diventa quasi lo sceneggiatore, diventa quasi il soggettista del film perché è quello che in pratica è anche il regista, dato che guida le gesta di Beauregard, quindi è un po' il personaggio che fa da ponte tra il western classico e quello che sarebbe stato il suo personaggio di Trinità. Le faccio subito una seconda domanda: il suo rapporto con Bud Spencer, lei è stato il bello, biondo con gli occhi azzurri, il furbo della coppia, Bud era il forte, muscoloso e senza cervello. Lei in qualche modo pensa di essere stato la spalla di Bud Spencer o viceversa?
Terence Hill: Allora, devo rispondere alla domanda su Nessuno. Il mio nome è Nessuno viene dopo i due Trinità, fu concepito e creato da Sergio Leone perché, quando uscì il secondo Trinità, lui ammirò moltissimo questo film per il quale non si spiegava un successo così grande, tant'è vero che restò sorpreso, uscì in contemporanea con Giù la testa con Charles Bronson e James Coburn e noi andammo molto più forte.
In quel momento Leone aveva deciso di non fare più il western, però era molto innamorato di quel genere e così concepì un film un po' alla storia sua, lui voleva che il western finisse, questo l'ho capito frequentandolo moltissimo e si identificò nel personaggio di Henry Fonda, mettendolo a confronto con un personaggio nuovo che era quello interpretato da me.
Che era un po' un personaggio hippy in quel momento, no? Che dormiva, sfaticato, che reagiva soltanto quando era provocato, che non aveva nessun problema e viveva alla giornata, però con una grande gioia. Quindi lui voleva fare un ultimo western e fu un western molto pianificato, con molta cura e molta professionalità.
Furono scritte tre sceneggiature, nessuna piacque a Sergio, l'ultima era ispirata all'Odissea e anche quella non funzionò. Però Sergio volle mantenere il nome "Nessuno", ecco perché Il mio nome è Nessuno. Di questo western tutti mi chiedono se era di Sergio o di Tonino, io non vorrei rispondere a questa domanda per delicatezza, comunque posso dire che era un figlio di Sergio Leone perché lui lo ha voluto fortemente.
Io non lo conoscevo, lui è venuto da me e mi ha detto: "Io voglio fare un film con te in un set grande, con più mezzi, più serio, con più significato, dentro l'epopea". A lui piaceva moltissimo l'epica. Tonino Valerii è stato il suo aiuto-regista e quindi c'era, diciamo, un controllo molto forte da parte sua.
Sergio Leone, che tutti amiamo, ha visto in quel film il suo momento, ha detto di voler abbandonare il western ma voleva lasciare una storia come Nessuno fa rimanere nella storia Jack Beauregard, mettendolo contro il Mucchio Selvaggio.
...Ah! L'altra domanda era "Bud Spencer - Terence Hill", chi è la spalla. Io credo che sia difficile rispondere perché non so chi è la spalla, non me lo sono mai chiesto. Se ero la spalla io mi fa piacere, se era lui, mi fa piacere lo stesso. Quello che avveniva tra noi è una cosa inspiegabile, io mi trasformavo quando stavo con lui e lui si trasformava quando stava con me, istintivamente.
Le coppie cinematografiche sono rare perché non è, secondo me, un atto a tavolino o cerebrale, ma è un atto emotivo. Sarebbe facile dire, metto lui insieme ad un altro e faccio una coppia, i produttori sarebbero felici di poterlo fare. Per noi è avvenuto così, è capitato per caso.
Il famoso pugno che dà Bud Spencer che piace tanto a tutti quanti hanno visto questi film, è nato anche quello per caso. Quando dovevamo fare una scazzottata in Dio perdona... io no!, io stavo su un albero, ero il gatto e gli saltavo addosso, gli speroni gli graffiavano la faccia e io chiesi:"Come finiamo questo duello?".
Poi, siccome io ero il gatto e il cane doveva prendermi con la forza, Bud disse:"Sai che faccio? Ti do un pugno sulla testa e tu..." e io "Sai allora io che faccio? Cado come un piccione che viene colpito da una fucilata". Tant'è vero che quello divenne, per noi e gli stunt-man, "il colpo del piccione", che consiste nel raggrupparsi in aria e cadere dall'alto su un fianco.
Lo usammo molto anche in Lo chiamavano Trinità, quando lo facevamo fare al messicano Mezcal, e lo faceva talmente bene che gli veniva chiesto continuamente di farlo vedere! La mia risposta è che è stato un caso, direi di provvidenza e chi fa la spalla non ha importanza.
Ragazza del pubblico: Don Camillo, Don Matteo... ma Terence Hill e la religione in che rapporto stanno?
Terence Hill: Ma, innanzitutto è un rapporto buono, io non litigo con la religione! A queste domande rispondo sempre che è un rapporto molto privato, è un rapporto cordiale, felice, serio, anche arrabbiato ma io credo che sia difficile parlare di questi rapporti perché sono rapporti concreti che vanno sperimentati.
Io penso che è un rapporto che hanno tutti, in un certo senso.
Signore del pubblico: Quanto lo ha coinvolto, questa sera, il rapporto di parentela con Alarico Silvestri?
Terence Hill: Moltissimo, io devo ringraziare profondamente la professoressa Claudia Minciotti perché lei me lo ha fatto conoscere stasera e me lo fece conoscere quando me ne parlò a lungo un anno fa ad Amelia. Io non sapevo molto di Alarico Silvestri, ricordo che avevo una zia che mi portava ogni anno a mettere i fiori ad una sua statua che c'è ad Amelia e ce n'è una anche a Roma al Giannicolo ma, ero solo un ragazzino, poi non ho mai approfondito.
Sapevo che questo bisnonno era un garibaldino sfegatato e giocavo con il suo fucile e la sua spada quando ero un bambino. Ripeto, devo ringraziare la professoressa per avermi fatto conoscere un mio familiare come non conoscevo; questa sera a stento ho dovuto trattenere la commozione per questa storia che mi arricchisce in quanto mi dà un precedente di parentela che mi aiuta anche a conoscere meglio me stesso.
Nel mio mestiere, tutte le esperienze che si fanno, come ho imparato all'Actor's Studio, vengono messe sulla scena. Cioè una volta che sei in scena devi trovare un'esperienza personale, quindi questa cosa arriverà anche nel mio lavoro, è un rapporto che nasce oggi, una conoscenza che approfondirò perché in fondo è una parentela molto stretta dato che mi ricordo che Marietta era la mamma di mio padre e lui era il fratello, quindi la sentivo ogni tanto questa nonna Marietta alla quale lui scriveva le lettere.
Grazie professoressa, lei oggi mi arricchisce la vita e mi ha fatto un grande regalo.
Signore del pubblico: Mi scuso perché per me oggi è stato un incontro del tutto imprevisto e mi trovo qui con una cagnolina che non potevo lasciare a casa, ecco perché l'abbaio di prima. Volevo domandare se tra tutti i personaggi che lei ha interpretato, ce n'è uno al quale è più affezionato.
Terence Hill: Sì, io sono affezionato moltissimo a Trinità e a Nessuno. Trinità perché fu un'esperienza totalmente spontanea, inconscia. Nessuno invece fu un'esperienza studiata. Tanto per i giornalisti che sono interessati al cinema, le voglio fare un esempio.
Sergio Leone voleva che i suoi film fossero dei film epici, ero diventato un po' il suo beniamino, mi portava a vedere quando girava i film e mi diceva che il personaggio di Charles Bronson in C'era una volta il west, lui lo faceva sempre entrare nel fotogramma da destra verso sinistra.
Voleva sviluppare visivamente questo eroe in questa maniera, per arrivare al momento culmine in cui affrontava il cattivo, in quel caso Henry Fonda. Nel duello finale, si vede Henry Fonda che cammina in circolo e mentre sta girando, gira anche il paesaggio dietro. Leone mi chiese: "lo sai come ho fatto?" E io "Non lo so, come hai fatto?" "Io l'ho messo su una pedana e facevo girare la pedana insieme alla macchina da presa".
Poi quando Charles Bronson entra nel fotogramma per affrontare il cattivo, lo fa entrare da destra verso sinistra e mi ricordo, lui mi spiegò dopo questa cosa, che io feci un salto sulla sedia perché la musica di Ennio Morricone era stata sviluppata durante tutto il film e quando viene l'accordo forte, lui entra e c'è un'emozione fortissima.
Sergio Leone ha lavorato sull'inconscio dello spettatore per arrivare a questo. E per "Il mio nome è Nessuno" lui mi disse: "Sai cosa farò per te?" Io farò venire Nessuno nel fotogramma dal basso verso l'alto. Ecco perché la prima volta che si vede esce dall'acqua e anche questa è una citazione mitologica.
Lui creava delle cose emotive nello spettatore, inconsce, conducendolo fino al clou della storia in cui si ritrova ovviamente coinvolto, tutto questo giocando sulle corde degli archetipi. Anche per questo sono affezionato a Il mio nome è Nessuno, Nessuno è molto spontaneo come personaggio e molto immediato però ha dietro un bagaglio molto pensato e studiato.
Ragazza del pubblico: Volevo chiederle, che consigli darebbe a delle persone che vorrebbero intraprendere il suo stesso mestiere?
Terence Hill: Come primo consiglio direi che a me ha aiutato molto fare l'Actor's Studio perché, come ho accennato prima, proprio non mi piaceva recitare, poi queste sono questioni familiari, sul motivo per cui non volevo fare l'attore, e non voglio esplorarle adesso. Però io ho sofferto finché non ho fatto l'Actor's Studio, perché ero molto timido e quindi ogni volta che entravo in scena il cuore mi andava a 150.
L'Actor's Studio come sai, è un metodo che fa sì che chiunque, chiunque, può diventare un attore; poi se tu hai dentro qualcosa in più di tuo, diventi un attore straordinario. Quindi, se vuoi fare l'attore, secondo me, per la mia esperienza, fai un Actor's Studio o un'altra scuola qualsiasi, perché chiunque può essere un attore.
Federica: Ciao! Hai mai pensato che Il mio nome è Nessuno potrebbe avere un seguito, potresti prendere la parte di Jack Beauregard.
Terence Hill: Sì, Federica. Sergio Leone non c'è più ma fece un seguito che era tutta un'altra cosa. Lui prendeva degli attori che fossero rappresentativi dei personaggi che dovevano interpretare. Henry Fonda rappresentava il vecchio west quindi sposava quello che voleva dire lui col personaggio. Io vorrei fare un western nuovo, l'altro giorno c'ho pensato, forse adesso sto arrivando ad essere Jack Beauregard, ma non lo so.
A me comunque piacerebbe fare un altro western, certamente una storia consistente, una bella storia.
Giornalista: Mi scusi se riprendo la parola, vorrei agganciarmi a questo che ha detto lei adesso: di fare un nuovo western. Sappiamo che il cinema italiano è abbastanza in crisi, c'è un 50% di calo degli spettatori, non c'è attrattiva. Non crede, visto che lei ha detto che sarebbe bello fare un altro western, che tornare al cinema di genere, che qualcuno sembra evocare, potrebbe in qualche modo salvare il cinema italiano?
Terence Hill: Tornando col western non credo, per il cinema in generale. Io vorrei fare un western se c'è una buona storia, allora potrebbe avere un grande successo, tutto dipende da lì. Come Clint Eastwood che ebbe successo con Gli spietati e vinse l'oscar quando il cinema western era in crisi.
Quindi dipende dalla storia. Non so, effettivamente, cosa servirebbe per il cinema italiano, ma io vedo che ci sono tanti giovani che stanno iniziando con dei soggetti originali, io credo che si debba soltanto dare più fiducia a questo, come fanno i francesi. I francesi si proteggono, come saprà fanno sì che ci deve essere un certo numero di film di distribuzione rispetto all'invasione americana, cosa che non c'è in Italia.
Secondo me non c'è un vero aiuto, nell'epoca del neorealismo era una cosa spontanea, c'erano pochi film e costavano poco, non c'era concorrenza e c'erano questi grandi geni, fu un momento straordinario per l'Italia. Anche adesso ci sono le persone creative, però lo scontro è come tra un piccolino che combatte contro un gigante, è una lotta impari.
Se non c'è un vero, serio aiuto, devo dire, del governo, non ci si arriva perché si combatte contro un gigante. Io quindi credo che in Italia il talento ci sia e si dicono delle cose non vere perché il talento c'è e ci sono degli attori bravissimi. Per esempio, noi qui con Don Matteo, stiamo trovando degli attori, a Umbertide, in Umbria, che per me sono più bravi di quelli che vengono dalle città.
Il talento c'è, ma non c'è un serio aiuto, quando il mercato libero ti schiaccia bisogna difendersi come fanno i francesi. Quindi il cinema italiano avrà una possibilità quando finalmente, seriamente, con dei grossi finanziamenti, si proteggeranno i nostri artisti.
Fabio Melelli: Ci sono altre domande? ...tra l'altro lei ha interpretato anche un altro western, prodotto da Sergio Leone, della Rafran, che è Un genio, due compari e un pollo di Damiano Damiani, che però è più mirato verso il comico, vero?
Terence Hill: Ecco, questa risposta che do può soddisfare il giornalista qui presente sulla questione di chi era Il mio nome è Nessuno. Tonino Valerii era un allievo di Sergio Leone, Damiano Damiani invece è un autore indipendente, quindi i film western che ha fatto, non li ha fatti seguendo le scie di Sergio, quel tipo di stile, che secondo me è sbagliato non seguire.
Il western ha un certo stile, deve avere certi tempi, deve avere certe inquadrature e non si può improvvisare quindi, va bè, non voglio dire altro!
Con un ultimo grande applauso a Terence Hill si è conclusa l'interessante intervista durata più di un'ora. Infine il Presidente dell'Università per Stranieri di Perugia gli ha consegnato degli omaggi e così la bella serata si è conclusa ma, prima di andarsene, Terence ha concesso l'autografo a tutte le persone intervenute che glielo hanno chiesto.
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